Inserendo la parola mineralità in un nuovo documento Word si nota subito che il sistema la sottolinea in rosso. Secondo il programma, infatti, quella parola o è sbagliata o non esiste. Allora andiamo a vedere sul vocabolario, troviamo minerale, ma il suo sostantivo mineralità non esiste. Un secondo controllo sull’Oxford Dictionary, magari in inglese la si trova: nulla, niente minerality neanche lì. Com’è possibile allora che la parola più in voga del lessico enologico non esiste?
È quindi a tutti gli effetti un neologismo enologico, una nuova parola necessaria agli addetti ai lavori per descrivere una sensazione che prima di oggi non era necessaria, ovvero la mineralità di un vino. Questo termine appare per la prima volta in un articolo di Robert Parker intorno agli anni ’80, il critico attribuisce per la prima volta ad un vino l'aroma di “wet stones”, sassi bagnati. Un’immagine forte, molto esaustiva. Da questo punto in poi la parola mineralità diventa cult e entra nel club dei termini enologici del nuovo millennio come terroir, tannino, decantare e brettato.
Un primo studio ha evidenziato che non c’è alcuna correlazione fra la concentrazione di un dato minerale nel terreno ed un carry-over all’interno del grappolo. Scheletri vulcanici, gessosi o calcarei non hanno quindi un’influenza diretta sul sapore dei vini, partecipano però a provocare uno stress idrico che la pianta inevitabilmente subisce e questo influenza l’accrescimento di determinate sostanze che non hanno nulla a che fare con i sali minerali, ma che inducono nel consumatore una percezione minerale del gusto. Sono più che altro acidi, come l’acido isovalerico, acido succinico, acido tannico e altre sostanze che si sviluppano principalmente durante la fermentazione.
Su questo concetto percettivo si è concentrato un recente studio fatto in Spagna all’Università della Rioja, condotto dal professor Antonio Palacios, che componendo grandi panel di degustazione, sia di enologi che di semplici appassionati, ha chiesto di identificare vini che rappresentassero il gusto minerale. I risultati dimostrano che il concetto di mineralità è molto ampio e ciò che per alcuni può esser minerale, non lo è per altri.
I risultati sono più che interessanti: dapprima si è identificato che la percezione minerale è più legata a un'ideale ventaglio di sapori minerali di quanto non lo sia ad uno stimolo biochimico. Successivamente si è notato che possiamo catalogare una serie di sostanze che concorrono a maturare una percezione pro-minerale e altre che entrano in conflitto, rendendosi anti-minerali. Composti derivanti da fermentazioni malolattiche, affinamenti in legno, aromi di frutta appassita inibiscono la percezione della mineralità nel consumatore. Altre molecole, di comune sviluppo fermentativo, a seconda della loro concentrazione e interscambio costruiscono, quasi come in una ricetta, il gusto della mineralità. Di seguito una breve lista delle molecole responsabili di alcuni dei sentori minerali più comuni.
Silice-Gemma – proviene da riduzioni fermentative e presenza di Anidride Solforosa
Terra Bagnata – presenza di Geosmina e/o Pirazina
Pietre Bagnate - proviene da riduzioni fermentative e presenza di Mercaptani
Calcare (Gessoso) – presenza di Idrogeno Solforato
Selce – Fiammifero – presenza di Benzil-Mercatano e Anidride Solforosa
Kerosene – Petrolio – presenza di TDN (Trimetil-diidronaftalene)
Da questo studio sono emersi molti dati enotecnici che permettono ad oggi di produrre vini minerali in qualsiasi situazione, attenendosi a delle regole di produzione delle uve, della gestione del mosto, della fermentazione e dell'affinamento.
Sembra chiaro, dunque, che la ricerca enologica corre più veloce del dizionario.